“L'immaginazione è oggi un banco di prova per l'azione, e non solo per la fuga"
Arjun Appadurai

 

Premessa: Appadurai. Paesaggio e immaginazione.

Secondo l'antropologo Appadurai, la critica dell' “imperialismo mediatico” ha dimostrato che il consumo dei media non si traduce necessariamente in passività, ma può evocare resistenza, selettività e attivazione.
Mentre la fantasia rappresenterebbe il concetto di "oppio dei popoli", che implica la passività e una limitata consapevolezza, l'immaginazione è il preludio alla espressione che, soprattutto se collettivamente articolata, può alimentare l'azione piuttosto che prevenirla.
Appadurai differenzia cinque dimensioni globali della nozione di paesaggio:

1) etnopaesaggio, il paesaggio mutevole e immersivo costituito dalle persone che ci circondano;

2) tecnopaesaggio, la configurazione globale di tecnologie in movimento ad alta velocità attraverso i confini precedentemente impermeabili;

3) paesaggio finanziario, la rete globale di speculazione monetaria e di trasferimento di capitale;

4) paesaggio mediatico, la distribuzione delle capacità di produrre e diffondere informazione e il vasto complesso repertorio di immagini e narrazioni generate da queste capacità;

5) ideopaesaggio, costituito da ideologie di Stato e contro-ideologie dei movimenti, intorno a cui gli stati nazionali hanno organizzato le loro culture politiche.

 

Il Contropaesaggio

Le grandi narrazioni della Storia (la Shoah, il crollo del Muro di Berlino...) così come della cronaca (la crisi, la casta, la globalizzazione...) costituiscono dei punti di riferimento o delle presenze ai cui piedi si snodano le nostre vite.

È un paesaggio i cui elementi (il “cielo plumbeo della crisi” o “le montagne di rifiuti che non sappiamo smaltire”) sono piantati come segni totemici nel paesaggio reale.

Coerentemente con la nozione di Appadurai di Paesaggio Mediatico, i media svolgono un ruolo primario nella costruzione delle rappresentazioni e narrazioni che formano il paesaggio in cui viviamo: opinion leaders, ma anche artisti pop come cantanti, divulgatori e pensatori mainstream, giornalisti e ovviamente leader politici. Si tratta naturalmente di un paesaggio DATO, ed è tale in quanto risultante dalle narrazioni costruite PREVALENTEMENTE da grandi poteri che detengono o dispongono degli strumenti di comunicazione di massa.

Nonostante l'accesso ai sistemi di espressione e rappresentazione apportato dalla rete non manchi, sembra tuttavia che sia impossibile per noi cittadini e individui cambiare il paesaggio in cui viviamo, tanto quello delle idee come quello fisico.

Eppure, esistono ovunque micronarrazioni.

Derivano dall'incessante lavoro IMMAGINIFICO (fare immagini) che gli uomini, in ogni determinazione contestuale e culturale, inevitabilmente producono. Finanche nelle condizioni oppressive dei regimi totalitari o nelle situazioni più alienanti e distruttive (pensiamo a opere come Il Diario di Anna Frank).

Queste immagini, derivanti dall'irrefrenabile potenza creatrice dello spirito umano (e dunque dallo stesso luogo da cui emana l'arte), contribuiscono a un'ineffabile composizione di un substrato magmatico di pensiero, idee e rappresentazioni che può anch'esso costituire una forma di paesaggio.

Si tratta di discorsi che tendono ad affiancare e spesso contrastare le narrazioni che determinano il paesaggio mediatico. Discorsi articolati da micronarrazioni individuali, e coagulati intorno ad esse, che danno dunque luogo e corpo a un paesaggio diverso, complesso e tendenzialmente frammentato, ricco di contraddizioni e spesso opposto a quello dominante.

Un paesaggio essenzialmente composto da storie e immagini prodotte “dal basso”.

Oggi, grazie alla rete e alle tecnologie portatili, la costituzione di questo paesaggio è sempre più accessibile, sia quando ci si ponga rispetto ad esso come creatori, sia come fruitori; la presenza e l'impatto di questo paesaggio è pertanto progressivamente più determinante nelle nostre vite.

Questo paesaggio è dunque un CONTROPAESAGGIO che si oppone alla rappresentazione del mondo imposta, e articola una deviazione rispetto alla visione tradizionale di paesaggio come dimensione data; un altro paesaggio, fatto da noi e dalle nostre esperienze: una spontanea e immensa opera d'arte, individuale e collettiva.

 

Manifesto di Paolo Naldini, Cittadellarte